SOUND(PR)TALKS: come nasce un podcast di successo? Ne parliamo con Alberto Giuffrè
Ci racconti un po’ la storia del podcast 1,2,3,4? Qual è stato lo spunto che vi ha portato a decidere di dedicare un podcast proprio al tema della sicurezza informatica?
Il podcast 1,2,3,4 è nato dall’incontro tra la mia passione personale per la sicurezza informatica e la volontà di proporre un format adatto ad affrontare questo argomento in modo approfondito.
A contribuire alla nascita del podcast è stata la consapevolezza, lavorando come giornalista, che in televisione la narrazione della cybersecurity spesso è resa difficoltosa dalla carenza di immagini esplicative necessarie per rendere più immediate e comprensibili le complesse dinamiche di questo ambito, un aspetto che ovviamente non ha alcun impatto sul formato podcast.
Il titolo “1,2,3,4”, è ispirato a una delle password più comuni, che mai dovrebbe essere scelta per proteggere i propri dati o dispositivi, ed è stato scelto per enfatizzare proprio la necessità di sensibilizzare in merito alle buone pratiche di sicurezza digitale. Per la sigla invece voglio citare e ringraziare il montatore di SKY Dario Piombo, il quale ha avuto la geniale intuizione di realizzarla partendo dalla nota scena del film “Balle Spaziali”.
Nell’ottobre del 2020 ha dunque preso i via il podcast con una cadenza inizialmente quindicinale e successivamente settimanale, giunto oggi a 112 episodi. La prima puntata del podcast ha affrontato la storia di un truffatore noto come Hushpuppi, balzato agli onori della cronaca per la sua rete di truffe attraverso e-mail fraudolente, infine arrestato Dubai da parte dell’Interpol.
Cybersicurezza: un tema che fino ad alcuni anni fa era “relegato” nelle community di addetti ai lavori e sui media specializzati. La rapida crescita e diffusione del digitale e il crescente impatto che le minacce informatiche hanno sulla vita quotidiana di utenti e aziende ha portato a un sensibile ampliamento dell’audience a cui rivolgersi quando si parla di cybersecurity. Qual è stato l’impatto di questa veloce evoluzione sull’impostazione del podcast 1,2,3,4?
Questa rapida evoluzione ha indubbiamente influenzato anche l’impostazione del podcast, in primo luogo a partire dalla sua cadenza originaria, che era quindicinale e che ho reso settimanale proprio alla luce della crescente diffusione di notizie relative alla cyber security. In particolare, con lo scoppio della guerra in Ucraina, si è iniziato a parlare di “guerra ibrida”, con riferimento alle implicazioni per la cyber sicurezza e ciò ha contribuito a un sensibile aumento dell’interesse per questo argomento.
Come viene strutturato il podcast?
Per me è fondamentale la presenza di un esperto: io sono un giornalista e non un esperto dal punto di vista tecnico e credo sia molto importante nel mio ruolo fare da mediatore tra chi tratta dell’argomento da un punto di vista strettamente tecnologico e un pubblico che, sebbene interessato, può non avere confidenza con la terminologia tipica del settore. Mi sono reso conto, anche grazie risultati di ascolto ottenuti, di dover prestare molta attenzione anche all’effetto che l’impostazione e il tono della narrazione possono avere su chi ascolta il podcast, perché l’intento è di informare e non generare ansia.
Come scegli gli spunti ai quali dedicare le puntate del podcast?
Uno dei criteri principali nella selezione degli argomenti per il podcast è la durata delle notizie: preferisco concentrarmi su storie che mantengono la loro rilevanza nel tempo, evitando argomenti che possono diventare obsoleti rapidamente. Ad esempio, se c’è stato un caso di hacking dell’account Instagram di un personaggio famoso, utilizzo questa storia come spunto per discutere in modo più ampio dell’importanza dell’autenticazione a due fattori nei profili social.
A volte, prendo spunto da personali di amici e colleghi che hanno avuto esperienze negative: ad esempio, ho dedicato un episodio alla storia di una mia collega che ha subito l’hacking del suo profilo Instagram, cogliendo l’occasione per condividere con gli ascoltatori del podcast alcuni suggerimenti pratici per tutelare i propri profili social.
Il podcast include anche episodi che non sono strettamente legati alle notizie di attualità, ma affrontano temi più ampi o anche le cosiddette “leggende metropolitane” della cybersecurity. Ad esempio, uno degli episodi più popolari è stato quello riguardante la credenza diffusa che i telefoni ci ascoltino mentre parliamo e che le pubblicità mirate siano il risultato di questa intercettazione. Con l’aiuto di esperti, durante l’episodio abbiamo confutato questo mito, spiegando che online condividiamo un volume molto elevato di informazioni personali che rendono estremamente semplice una profilazione volta a porci contenuti mirati e che l’idea di un ascolto costante sarebbe insostenibile anche dal punto di vista tecnico.
Come riesci a creare uno storytelling in grado di fondere gli aspetti più tecnici di un argomento come la sicurezza informatica con la necessità di coinvolgere un’audience mainstream come quella del canale online di SKYTG24, al quale il podcast è collegato?
Quella è la sfida di ogni puntata, io scelgo esperti che a volte sono molto bravi a comunicare, ma in alcuni casi non è semplice rendere immediati concetti molto complessi. In tal caso, il mio ruolo è rendere il più possibile comprensibili tali interventi, anche se possono sembrare chiarimenti inutili a chi invece è già avvezzo alla materia ma preferisco la chiarezza giornalistica così da poter offrire un contenuto che sia davvero comprensibile a tutti.
Un’altra sfida che incontro è quella di riuscire a dare il giusto peso alle notizie. Ad esempio l’anno scorso ci sono stati molti attacchi DDOS (Distributed Denial-of-Service) ovvero quando un sito viene sovraccaricato di richieste andando K.O., che hanno generato molto scalpore finendo come notizia di apertura sui principali siti di news. Prima di decidere se e come trattare la notizia secondo me è opportuno effettuare delle valutazioni e verifiche relative all’effettivo impatto dell’attacco. Nel caso dei DDOS si tratta di una tipologia di attacco hacker che pur creando un danno non va ad intaccare l’integrità dei dati e il cui scopo era prevalentemente dimostrativo, con limitate conseguenze per gli utenti dei siti colpiti. Quindi è anche corretto porsi il dilemma giornalistico circa il tipo di visibilità da dare a una notizia di questo tipo. Ci sono anche queste sfumature, quando si parla di notizie di cybersecurity, in cui il ruolo di chi è maggiormente alfabetizzato su questi argomenti supporta il lavoro giornalistico perché riesce a valutare meglio il modo e l’intensità con cui forniamo certe notizie. Sottolineo questo aspetto perché è diffusa la convinzione che una redazione giornalistica pubblichi qualunque tipologia di notizia senza prima valutarne l’effettiva rilevanza.
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