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Sound(PR)Talks: parliamo di podcast con Sara Canali

 Che cos’è un podcast?

Un podcast non è un prodotto, è piuttosto uno strumento di distribuzione attraverso  cui si diffonde la forma di narrazione più antica: quella del racconto orale il cui potere non morirà mai, perché esiste da sempre ed esisterà per sempre. Ciò che cambia sono piuttosto i mezzi e la tecnologia.

Ne parliamo con Sara Canali, giornalista e autrice del podcast ReLoved prodotto da Pianozero Media, che esordisce spiegando che “Si può considerare il mezzo narrativo più espressivo di questo momento storico. La sua peculiarità è quella di consentire una fruizione offline dei contenuti svincolando l’ascoltatore dalla necessità di seguire “un flusso”, come, per esempio, quello radiofonico

Il podcast, quindi, trasporta la narrazione, e narrare è un’azione archetipica dell’uomo, perché tra le competenze funzionali distintive della natura umana ci sono proprio la capacità di parlare e di raccontare.  In questa prospettiva, il podcast va considerato effettivamente come un mezzo per trasmettere un racconto orale.

Solitamente assumono la struttura tipica delle “serie” sviluppando dei contenuti in forma episodica su un dato argomento; possono essere orizzontali – quindi seguire una narrazione temporale che sviluppa la sua trama attraverso l’avanzare delle puntate e che termina con l’ultimo episodio –  o verticali, in cui ogni episodio è chiuso e narra un macro-tema a sé.”

 

Come si realizza un podcast di successo? L’ingrediente perfetto è solo l’argomento? Parlando di branded podcast, quale valore aggiunto devono essere in grado di fornire i brand per creare un podcast di sicuro interesse per le proprie audience?

Sono due gli aspetti essenziali per costruire un podcast: la coerenza e il punto di vista, cioè come si inquadra il tema. Nonostante oggi l’offerta sia ampia e variegata, è ancora possibile trattare argomenti già affrontati cambiando il focus di partenza e riuscendo a restituire, ogni volta, una narrazione nuova… Ciò che conta infatti è proprio il punto di vista, ovvero come si racconta una determinata storia.
Il podcast ha anche un grande potere: quello di permettere all’ascoltatore di partecipare attivamente e di entrare nella vicenda narrata. Un prodotto ben fatto richiede, oltre ad una storia ben costruita, una regia e di investire sul sound design, elementi che permettono di creare un’atmosfera e di fare entrare chi ascolta nel racconto. In un certo senso si diventa protagonisti della storia, si entra a far parte del suo immaginario e si condivide l’esperienza costruendo con l’immaginazione i suoi personaggi. Ed è questa la grande differenza con i film, dei quali le persone sono spettatori passivi.

Infine, si tratta di uno strumento semplice e democratico, che permette di creare contenuti senza dover sostenere grandi spese. Chiaramente, l’investimento varia a seconda che si tratti di una produzione amatoriale o professionale, ma rimane comunque un mezzo piuttosto accessibile.

 

Tu scrivi di “piccole grandi rivoluzionarie”, di donne che hanno “trasformato il dolore in un inno alla vita”. Come hai capito che l’argomento scelto era “quello giusto” e che avrebbe potuto funzionare?

Le storie che tratto in ReLoved mi sono in qualche modo arrivate addosso, è come se ci fossi inciampata, non le ho cercate di proposito. Tutte sono accomunate da un file rouge, ovvero un momento di sofferenza denso di emozioni che mi è risuonato dentro. Io credo che il compito di un giornalista sia quello di far parlare gli altri – oltre che parlare di ciò che conosce – diventando veicolo dei racconti altrui, un po’ come un portavoce o un cantastorie. ReLoved è nato da qualcosa che ha toccato le mie corde facendole risuonare, e un podcast dovrebbe sempre partire da una narrazione che si sente propria, perché se non risuona a chi la narra significa che forse non è quella giusta. Certo, si può parlare di tutto, ma uno degli elementi chiave di un podcast di successo è credere alla storia e al progetto che si racconta. Questa è stata anche la mia esperienza: ho sentito che queste storie dovevo raccontarle perché raccontare per me significa, in qualche modo, restituire. Su un piano più generale, è anche importante osservare come il podcast abbia innescato nuovamente quella fiducia tra giornalista e lettore che si era persa. Il potere della voce aiuta a creare quella connessone empatica tra autore e ascoltatore che è alla base di ogni relazione di fiducia.

 

La scelta del format dipende anche dal tema. Una volta scelto il tema, come si organizzano i contenuti? Quali sono le strumentazioni tecniche necessarie per creare un podcast? E’ un’attività che occupa molto tempo?

La forma è una conseguenza della storia che si vuole raccontare. ReLoved è semi talk e semi narrativo, perché per me e per il team editoriale di Pianozero che mi ha sostenuta in questa avventura era importante dare voce alle protagoniste, lasciare che fossero loro stesse a raccontarsi in modo da trasmettere freschezza, coerenza, autenticità. Dopo la mia introduzione è sempre l’intervistata ad accompagnarci nel suo viaggio. ReLoved riunisce storie di rinascita e per questo la testimonianza diretta è la forma migliore.

E qui si torna all’importanza del “punto di vista”: nel mio podcast la prospettiva è quella dell’io narrante, ovvero delle donne che si raccontano

 

Come si fa a promuovere uno strumento così unico e ancora in evoluzione come il podcast? Come si fa a far “trovare” il proprio podcast?

Per quella che è la mia esperienza, la condivisione sui social e il passaparola sono stati i veicoli più importanti, oltre alla preziosa collaborazione dei miei colleghi di Pianozero. Abbiamo annunciato il podcast sul sito e sui social della casa di produzione, oltre a veicolare la notizia sui miei canali personali. Il resto è avvenuto grazie allo sharing da parte di tanti contatti che hanno creato un effetto di amplificazione.

 

Il nome del podcast, così come la copertina, possono influire in modo significativo sul suo successo. Come si creano un nome e una copertina efficaci e creative che possano attirare la curiosità del pubblico dei podcast?

Stiamo parlando di un mezzo, il podcast, che si basa sulla voce, ma come per tutti i contenuti che si intende promuovere, l’aspetto visivo riveste un ruolo molto importante. Nel mio caso, ho potuto contare sul supporto di Michele, collega di Pianozero che mi ha aiutato con l’immagine coordinata. Il nome del podcast mi è venuto così, senza pensarci troppo. Volevo raccontare storie di donne che sono tornate ad amarsi e a ricaricarsi. Inizialmente mi è venuto in mente il termine “reload”, ma non era sufficiente per esprimere pienamente ciò che avevo in mente. Ed è così, per assonanza, che è nato ReLoved.

 

Tu sei anche una giornalista e hai quindi l’occasione di interfacciarti con tanti brand, in particolare nel mondo dello sport. Tra di loro ce n’è uno che trovi sappia usare bene lo strumento del podcast per raccontarsi?

Alcuni mi hanno tolto il fiato come “Il dito di Dio” o “Storia del mio nome”. Ho capito che mi piacciono le narrazioni di suspense – non troppo crime – e mi attirano gli approfondimenti di fatti recenti e noti, narrati da punti di vista differenti. E tutto torna.

 

A tuo parere i brand hanno colto le potenzialità del podcast?

Secondo me i brand non hanno ancora compreso del tutto la potenzialità dei podcast, o quanto meno molti non sanno ancora come utilizzarli. Il podcast aziendali risultano spesso autoreferenziali, come fossero una vetrina per l loro stessi.

Ovviamente dipende dall’obiettivo del brand, da cosa vuole ottenere e dal target a cui intende rivolgersi. Se l’obiettivo è quello di catturare nuove quote di mercato, l’autoreferenzialità non porta da nessuna parte. Il mio consiglio per un corporate podcast efficace e incisivo è di adottare una narrazione incentrata sui valori del brand, piuttosto che focalizzarsi su propri prodotti o servizi. In questo modo è possibile ristabilire anche quel patto di fiducia che altrimenti verrebbe a mancare.

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