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DEI e Brand Reputation: inclusività sotto esame

Comunicare la diversità senza perdere di vista il contesto (e la coerenza)

La DEI – Diversity, Equity & Inclusion – è stata per anni uno dei temi centrali nelle strategie di comunicazione aziendale. Oggi, però, la narrazione attorno a questi principi sta cambiando. Non perché il tema abbia perso rilevanza, ma perché alcune aziende stanno rivedendo i propri impegni pubblici, spinte da un contesto politico sempre più divisivo.

In un panorama in continua evoluzione, la vera sfida per i brand è capire come parlare (e agire) su questi temi in modo coerente, strategico e consapevole. Perché, al di là delle dichiarazioni, è la reputazione che resta.

DEI: tra strategia e realtà

Per anni le politiche di inclusione sono state viste come un asset reputazionale: un modo per esprimere i valori del brand, parlare a pubblici sensibili e costruire un legame con stakeholder sempre più attenti a giustizia sociale, uguaglianza di genere e diritti delle minoranze.

Non si è trattato solo di “buone intenzioni”. In molti casi, investire in iniziative DEI ha significato attrarre nuovi talenti, fidelizzare le risorse interne, aprire nuovi canali di dialogo con il pubblico. Insomma, una scelta strategica che ha avuto effetti concreti anche sul business.

Ma qualcosa sta cambiando.

I passi indietro delle grandi aziende: un nuovo scenario?

Negli ultimi mesi, nomi noti del panorama internazionale hanno fatto marcia indietro su queste politiche. Harley Davidson ha chiuso il proprio dipartimento DEI, Jack Daniels ha ridimensionato l’impegno nelle certificazioni LGBTQ+, mentre Google ha eliminato alcune ricorrenze simboliche – come il Pride Month – dal proprio calendario. Anche Meta ha rivisto parte dei propri programmi inclusivi. E non sono casi isolati: queste mosse sembrano rispondere, almeno in parte, a un clima politico più ostile verso il concetto stesso di inclusività aziendale.

Negli Stati Uniti, in particolare, alcune scelte sembrano allinearsi a una narrativa politica che critica la DEI, accusandola di essere ideologica, divisiva o semplicemente inefficace.

La politica entra nelle strategie di comunicazione

In un contesto così polarizzato, anche la comunicazione aziendale finisce sotto i riflettori.  Continuare a sostenere certi valori può essere visto da alcuni come un atto di coraggio, da altri come una provocazione. Per le aziende, questo significa dover navigare tra aspettative contrastanti, senza compromettere la propria identità. Perché, che si scelga di fare un passo avanti o indietro, ogni scelta ha un impatto sulla percezione del brand.

Reputazione a rischio: cosa succede se si torna indietro?

Rivedere (o abbandonare) gli impegni DEI può generare un effetto boomerang. Se da un lato può accontentare una parte del pubblico, dall’altro rischia di incrinare la fiducia costruita negli anni, soprattutto tra le nuove generazioni e i pubblici più attenti alla coerenza tra parole e azioni.

C’è poi un rischio interno: quello di perdere attrattività verso i talenti. I dati parlano chiaro: le aziende con maggiore diversità e inclusione hanno migliori risultati sul mercato. Infatti, secondo un’indagine di Credit Swiss Research, le organizzazioni in cui le donne sono meglio rappresentate nel management hanno anche performance migliori in Borsa. Un report McKinsey del 2023 dice che le società con i più alti livelli di equità di genere hanno il 39% di possibilità in più di avere performance finanziarie migliori della media.

Una comunicazione coerente è la chiave

La chiave per navigare in questo scenario complesso risiede in una comunicazione coerente e trasparente. Le aziende devono essere chiare sui propri valori e sui motivi alla base delle loro scelte, evitando che le decisioni appaiano come mosse opportunistiche o come risposte a pressioni politiche. Se un’azienda decide di ridurre il proprio impegno verso la DEI, è fondamentale che spieghi in modo chiaro le motivazioni, mantenendo sempre un dialogo aperto con i propri stakeholder.

Inoltre, la comunicazione non può limitarsi a rispondere a una crisi, ma deve essere parte di una strategia a lungo termine che posizioni il brand come un leader di pensiero su temi cruciali come l’inclusività, la giustizia sociale e il rispetto dei diritti umani. Le aziende che sapranno mantenere un impegno autentico, senza cedere alle pressioni esterne, saranno quelle che, alla lunga, godranno di una brand reputation solida e resistente.

L’equilibrio tra etica e strategia

In definitiva, non esiste una soluzione univoca. Ogni brand deve trovare la propria rotta, calibrando sensibilità sociale, coerenza valoriale e visione strategica.

Ma una cosa è certa: la diversità e l’inclusione continueranno a essere un indicatore affidabile dello stato di salute reputazionale di un’azienda. Ignorarli o trattarli con superficialità può minare la fiducia. Al contrario, coltivare un impegno autentico – anche imperfetto – resta la via più solida per costruire relazioni che durano. E reputazioni che resistono.

 

A cura di Chiara Pagani e Alessandra Malvermi

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